mercoledì 13 aprile 2011

A destra e a manga

di Laura Grasso

Appena dieci anni fa a pronunciare il termine “Manga” in una libreria, un’edicola o anche in una fumetteria, si rischiava (nella migliore delle ipostesi) di venir corretti col termine “Magna”. Oggi, anche chi non è addetto ai lavori conosce, o ha sentito pronunciare, questa parola. I fumetti giapponesi sono stati sdoganati in tutt’e tre gli ambienti citati, e non meraviglia trovare nella collana de La Repubblica “I Classici del fumetto” anche il nome Otomo Katsushiro.

L’invasione è stata graduale ma non indolore. Come molti ricorderanno l’avanguardia ha iniziato l’attacco dai teleschermi italiani attorno agli anni ’70, portandosi dietro una serie di polemiche che, ai tempi, giunsero persino in parlamento (stiamo parlando di un periodo in cui, solitamente, in parlamento si parlava solo di questioni serie…).

L’animazione televisiva giapponese è, spesso, lo specchio impoverito (o anche arricchito) di una precedente versione cartacea. Il manga, nella propria madrepatria, non è ritenuto per niente una lettura infantile, così come gli anime non vengono considerati un prodotto fruibile unicamente dai bambini. Il merito più grande, che ha reso commercialmente vincente in Giappone il settore dei fumetti è stato anche quello di distinguere i target e differenziare l’offerta. Esistono gli shonen-manga (fumetti per ragazzi), come gli shoujo-manga (per ragazze, ma anche per uomini, donne e bambini solo per citare le fasce d’età più marcate), in una libreria giapponese si trovano riviste che entrano sempre più nello specifico orientandosi verso il gusto di impiegati, impiegate, casalinghe, e così via, per sconfinare anche nei vari generi (horror, azione, commedia, etc.). Non si finirebbe più di elencare.

Ma non si tratta solo di target. Ciò che distingue il manga dal fumetto europeo e dal comic è soprattutto lo stile, sia grafico che narrativo di questo medium, che risulta completamente diverso rispetto ai cugini occidentali: lo stravolgimento dei canoni anatomici, l’irregolarità delle vignette (quando non la loro totale assenza), la veloce fruibilità di lettura ed anche lo stile del racconto. Nel disegno spesso il realismo si piega alle esigenze del mangaka, e altrettanto fa il tempo cronologico che si dilata e restringe a piacimento.

Atteggiamento proprio di una cultura figlia di altra tradizione e filosofia, ma soprattutto schiava di esigenze commerciali e produttive.

Il Giappone è il Paese dei compromessi, dove si è buddisti, shintoisti e un po’ cattolici (ma solo a Natale). Così, si trova il manga prodotto unicamente allo scopo di vendere il giocattolo del momento, ed il manga come forma d’Arte, costruito vignetta per vignetta accentuando la lentezza della storia per prolungare il godimento di un disegno minuzioso e dettagliato, o risolto nella bellezza di un unico tratto di pennello, pulito e deciso. Disegno realistico o super deformato, con tutto quello che ci sta in mezzo.

I nipponici, hanno approcci assai più disinvolti con temi quali: morte, sessualità o religione, e di conseguenza trattano questi argomenti in modo libero, scontrandosi perciò, con la sensibilità del mondo occidentale.

[Per citare una polemica abbastanza recente, ricordo l’attacco allarmistico della psicologa Vera Slepoj alla serie animata “Petali di stelle per Sailor Moon” (Bishojo Senshi Sailor Moon – Sailor Stars) accusata di “deviare” l’orientamento sessuale dei giovani telespettatori!]

C’è la loro ideologia basata sullo spirito di sacrificio, sulla devozione, sul fallimento come massima vergogna, sull’immolazione dell’individualità a favore della collettività, che risulta inconcepibile ad una cultura individualista e capitalista come la nostra. E c’è la meditazione zen, la ricerca della perfezione, il binomio bellezza-tristezza, l’amicizia come più alto valore, la lotta contro se stessi per migliorarsi.

Espressione di questo popolo, dapprima isolato per secoli, conquistato, atomizzato, obbligato ad accettare usi e costumi che non gli appartenevano, contaminato dal capitalismo che si è messo in corsa per raggiungere e superare (nel bene e nel male) gli stranieri. Tutto questo e niente di questo può essere un manga.


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