lunedì 28 novembre 2011

Dai realisti agli scarabocchiari


 di Antonino Rocca

Quando si vuole analizzare  e “sistemare” un fenomeno lungo e complesso (come quello delle arti figurative, ad esempio) si comincia col mettere insieme entro categorie, generi, stili tutti quei personaggi le azioni, i fatti che si ritiene abbiano elementi comuni, e si cominciano ad appiccicare etichette (e spuntano i manieristi, gli impressionisti, i cubisti, i realisti, gli astratti….). La fase successiva consiste nell’entrare in ognuna delle dette categorie e analizzare, distinguere lo stile individuale di ogni singolo artista, per chiarire quali “cose” davvero  li accomunano e quali li distinguono. Per scoprire, ad esempio, che all’interno dell’impressionismo ci sono tanti impressionismi diversi quanti sono le caratteristiche stilistiche proprie di ogni singolo artista.
Fine del pistolotto didattico e inizio di una impresa temeraria che in maniera del tutto arbitraria citerà soltanto alcuni autori e alcune opere per tentare di evidenziare alcuni aspetti sul “modo” di fare e fruire il fumetto. di Antonino Rocca

Nel fumetto “realismi” ce ne sono tanti. Sono realisti i disegnatori dei Supereroi americani da Alex Ross a Joe Jusko a Terry Todson, Ed Benes, Greg Land, Gary Frank, MikeMayhew ,  sono realisti Vicente Segrelles col suo “El Mercenario”, John Bolton, Moebius, Dino Battaglia, Milo Manara, Vittorio Giardino…., sono tutti padroni delle tecniche accademiche della prospettiva e della scrittura anatomica delle figure ma ognuno disegna in modo diverso dall’altro. Non solo, ma a furia d’essere realisti si può diventare metafisici come accade, ad esempio a Moebius e, in qualche misura, anche al nostro Vittorio Giardino che ambienta i suoi nitidi personaggi in uno spazio cosi preciso lucido e fermo, così perspicuamente disegnato  da  sembrare “irreale”.
Stesse ragioni valgono ovviamente per i “non realisti” e le innumerevoli deviazioni dal realismo accademico, fino agli espressionismi più esasperati, fino alla distruzione della figura , fino alle soglie dell’astrattismo (per intenderci quelle stile Mattotti e i suoi “Fuochi”).

Qui vorremmo fare qualche considerazione sulla precarietà di una fra le tante suddivisione per generi , quella fatta per categorie di fruitori, una sorta di minicatalogazione provvisoria, giusto il tempo di proporla per esporla  alla contestazione e provocare un minimo di riflessione.

Si potrebbe dare per scontato, ad esempio, che debba essere realista il fumetto destinato ai bambini, ma stante l’ambiguità del termine, l’asserzione diventa valida solo se si precisa che la realtà che i bambini esperimentano è fatta di pupazzetti e di giocattoli, allora anche i personaggi dei loro fumetti saranno pupazzetti e giocattoli. Come sono Yellow Kid, Fortunelo, Bibì e Bibò e gli eroi del “Corriere dei piccoli”, Topolino & C. I puffi e compagnia bella. Ma il campo si complica se pensiamo che molti dei cosiddetti fumetti per l’infanzia  sono stati in molti sensi “adulti” per invenzione fantastica, raffinatezza stilistica, innovazione del linguaggio, basti pensare al Little Nemo di Mac Chey, straordinaria invenzione in stile liberty, al futuristico signor Bonaventura di Sergio Tofano, al surreale Krazy Kat di Herriman, alla rivoluzionaria Pimpa di Altan. Non solo, ma uno stile pupazzettato, molto semplificato pseudo-infantile (ma sottilmente raffinato) lo troviamo anche nei fumetti (più o meno) per adulti da Betty Boop di Max Fleischer fino ai Peanuts di Schulz e ancora, in quei fumetti in cui il segno molto sintetico caratterizza fortemente (a volte al limite del caricaturale) personaggi come il Dick Tracy di Chester Gould o certe primissime versioni dei supereroi.
Un fumetto realistico, di facile lettura, ben a ragione potrebbe poi corrispondere (ma qui il terreno si fa assai scivoloso) ad un pubblico “popolare” o di massa (complichiamoci la vita : di cultura medio-bassa ). Meriti speciali nella categoria del banale si è guadagnato quella parte della fumetteria americana “sparatutto”, che non fa che proporre a getto continuo nuovi, sempre più improbabili  supereroi elaborati al computer, tutti fulgidi nelle loro tute aderentissime e corazze luccicanti di bit e impegnati in terribilissime zuffe, contro mostri giganteschi che sprizzano saette di acciaio inox per tutto l’universo, in una tempesta di proiettili, cazzotti e colpi d’ascia dai quali ci si può difendere solo voltando pagina. Dietro tanto spreco di energie, di chine, matite e computer: il racconto del nulla. Al confronto, possono  recuperare un minimo di plausibilità le novelle illustrate e i fotoromanzi di qualche tempo fa e pretendere visibilità financo i fumetti “vietati a i minori”, semipornografici sia per gli argomenti che per la cura del disegno. Chè poi quel modestissimo fumetto pulp è stato pur sempre terreno di iniziali esperienze di fumettisti (Magnus per tutti) rivelatisi in seguito artisti di grosso calibro e che tanto materiale “volgare” ha interessato settori della ricerca sociale e di costume nonché esponenti delle arti figurative e del cinema (basti pensare alle manipolazioni pulp dei film di Tarantino). E infine, lo stesso fumetto si è divertito a parodiare se stesso reinventando nuove versioni dei più popolari e consumati supereroi.

Ma il disegno realistico ovviamente ha conquistato anche livelli assai alti e si è impegnato in  innumerevoli variazioni sul tema, raccogliendo firme prestigiose di fumettisti iper-realisti, foto-realisti, digital-realisti che pretendono fruitori piuttosto raffinati per coglierne gli aspetti nuovi , virtuosistici, a volte enigmatici, surreali, come accade per il citato Moebius”, Druillet, Bilal…., ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo
Per non dire delle interessanti metamorfosi che avvengono all’interno dello stile di uno stesso autore (si pensi all’inglese John Bolton da “Marada la lupa” a “Il San Valentino di Arlecchino”) o nella storia di uno stesso personaggio (Vampirella, per esempio, che parte dalla sexy-bambolina di Frank Frazzetta per passare alla vamp iperrealista di Mike Maryhek fino ad arrivare alla pin-up parigina di Bruce Timm ).
Ugualmente ad un pubblico adulto, più colto aggiornato e specializzato si può riferire poi un tipo di fumetto più lontano dalla narrazione realistica  a vantaggio di un disegno più sperimentale, spesso influenzato dalle correnti della pittura contemporanea o dai media più nuovi. Solo qualche nome : (accanto ai citati Moebius, Druillet e Bilal)  l’americano Frank Miller e i nostri vecchi: Dino Battaglia, Sergio Toppi, Guido Crepax, Lorenzo Mattotti….Ma una della più violente reazioni al fumetto realista è stata verosimilmente quella portata dal fumetto americano undergraund” e dal suo più noto rappresentante: Robert Crumb; uno di quelli nati sotto il segno del Vietnam, testimoni del crollo del sogno americano, spinto a gridare forte fino alla sguaiataggine la sua verità. Nel mondo delle arti americano ci sono sempre stati artisti che hanno scelto di rappresentare la faccia nascosta dell’america, il suo specchio nero, specialmente nei momenti di maggiore coinvolgimento e sconvolgimento sociale e in cui più forte si fa per il potere costituito la necessità di eludere la tragedia delle cose dietro la facciata delle grandi missioni, dei grandi sacrifici (delle guerre sante) per salvare l’America e l’Umanità. All’epoca del Vietnam, nel campo del fumetto, il più famoso bastian contrario è stato appunto Robert Crumb.Agli antipodi della splendida Wonder Women di Alex Ross,  Crumb propone la sua “abominevole donna delle nevi”. I temi e i disegni di  Crumb e dei suoi compagni di strada, sono tutti sesso droga e violenza, il segno è grasso, grosso, deforme, eccessivo, ed è sconveniente, scorretto, volgare, sbracato, paradossale. Un segno che torna in altri tempi e spazi nell’arte di quegli artisti che devono fare i conti con i mille vietnam individuali o collettivi che continuamente si ripresentano ( come accade per il nostro Andrea Pazienza quando è veramente arrabbiato). In altri climi e toni, più epici e universali, emerge il tragico “Maus” di Spiegelman e, da li a poco, “V per Vendetta” di Alan Moore e David Lloyd che richiama per certi toni drammatici e visionari il capolavoro argentino “El eternauta” di Oesterheld e Solano Lopez; tutti impegnati a raccontare alludere o prefigurare una condizione sociale tragica, resa con estrema efficacia da un disegno “nero”, kafkiano; esito straordinario d’una perfetta coerenza fra disegno e racconto, fra sceneggiatori e fumettisti.
E infine ci sono i fumetti “scarabocchiati”, dallo stesso Mattotti nelle sue “Stigmate” per esempio, da Gepi, da Antonio Bruno…. etcetera. Un fumetto che può rientrare nel calderone dell’espressionismo, ma che si caratterizza per una accentuata “sprezzatura” un segno che appare approssimativo, trascurato, buttato giù senza criterio, spesso con violenza, pieno di macchie e cancellature. Eppure nella maggior parte dei casi costituisce il miglior esempio, di reciproco rafforzamento fra disegno e parola, dove  l’asprezza nuda e cruda del segno (che però spesso non riesce ad eludere una sottile raffinatezza di fondo, una costruzione della scena sostanzialmente “classica”) è la più adatta alla stringata durezza del parlato, e insieme riescono a trasmettere un messaggio emotivo di grande efficacia.
Perché, certamente, è questo quello che conta: “comunicare”, ma a noi interessa anche il”come”.
E per il momento qui ci fermiamo.

stop

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